mercoledì 22 ottobre 2008

4 Il dibattito filosofico in India e le scuole

Secondo un uso invalso già in India e adottato in modo forse poco critico dalla quasi totalità degli interpreti occidentali, la filosofia indiana si articola in “scuole” (darśana, letteralmente “visione”, nel senso di Weltanschauung). Sempre secondo la tradizione indiana, le scuole ortodosse (ossia che riconoscono il Veda)
sono sei. A queste vanno poi aggiunte le varie correnti buddhiste e giainiste. Le sei scuole ortodosse sono secondo tale classificazione:
–Nyāya (da cui l'aggettivo Naiyāyika, che indica anche un pensatore che aderisca
alla scuola Nyāya)
–Vaiśeṣika (donde Vaiśeṣika)
–Mīmāṃsā (Mīmāṃsāka)
–Vedanta (Vedāntin)
–Sāṅkhya (Sāṅkhya)
–Yoga
La prima, il Nyāya, nasce da una tradizione di dibattiti ed è specializzata in temi di logica, dialettica ed epistemologia. A partire dal ix secolo circa sarà sempre più strettamente associata alla seconda, il Vaiśeṣika. Questo nasce come indagine fisico-ontologica sul mondo. I Vaiśeṣika elaborano, per esempio, una teoria atomistica. La Mīmāṃsā sorge invece dal desiderio di sistematizzare l'esegesi vedica e si focalizza soprattutto sulla porzione del Veda, i Brāhmaṇa, contenente le ingiunzioni sacrificali. Anche il Vedānta è legato al Veda, ma soprattutto alle Upaniṣad, in cui le ingiunzioni sacrificali sono lette a livello simbolico e prevale un approccio monista. Il Sāṅkhya sofferma la propria attenzione sulla classificazione di tutto ciò che esiste a partire dall'opposizione fondamentale fra una natura naturans, attiva e incosciente, e uno spirito passivo ma cosciente. Infine, lo Yoga applica la distinzione del Sāṅkhya fra natura e spirito alle proprie pratiche psicofisiche.
Spero di aver con questa brevissima presentazione evidenziato una caratteristica essenziale di queste scuole, ossia il loro presentarsi per così dire “a coppie”. Questo è ancor più vero se si osserva da vicino il metodo utilizzato, in quanto le coppie tendono a essere accomunate dall'adozione di un medesimo procedimento epistemologico (e abbiamo già visto come l'epistemologia costituisca nella filosofia indiana la griglia sulla quale si articolano tutti i discorsi valoriali). Avremo perciò tre coppie più che sei distinte scuole, intorno a tre distinte metodologie:
indagine umana (Nyāya e Vaiśeṣika), ermeneutica (Mīmāṃsā e Vedānta), separazione di natura e spirito (Yoga e Sāṅkhya).
Viceversa, singole scuole si dividono al loro interno, specie intorno a tesi più innovative di alcuni loro esponenti. Abbiamo perciò varie sottoscuole all'interno del Vedānta (da Śaṅkara alle scuole teiste), del Sāṅkhya (il Sāṅkhya ateo delle Sāṅkhyakārikā e quello teista della Bhagavadgītā...), dello Yoga, del Nyāya (in cui nel xiii secolo nasce una corrente che si autoproclama “Nuovo Nyāya”), della Mīmāṃsā (in cui si distinguono Bhāṭṭa Mīmāṃsā e Prābhākara Mīmāṃsā, oltre a figure di spicco cui viene attribuita una terza posizione, ossia Maṇḍana Miśra e Murāri Miśra).
Il discorso è ancora più complesso se si osserva come ognuna delle scuole si specializzi in un determinato ambito e tenda a prendere in prestito dalle altre quanto riguarda gli altri ambiti. Ognuna, specie in epoca postclassica, presenta cioè un sistema completo, ma tale sistema è spesso composto di mattoni eterogenei. Nel caso che conosco meglio, la Mīmāṃsā, troviamo le categorie del Vaiśeṣika, la soteriologia del Vedānta, un'epistemologia influenzata dal Nyāya... Questo non nega la presenza di specificità anche negli ambiti presi per così dire in prestito. Ogni scuola non prende in toto tutto un blocco argomentativo da un'altra, bensì si sforza di adattarlo al proprio contesto. Tuttavia, il procedimento è tanto ovvio che non ci sono reciproche accuse di plagio. Anzi, se di plagio si può parlare si deve dire che è un plagio generalizzato e che coinvolge tutte le scuole, ora su un argomento, ora sull'altro. Le regole esegetiche della Mīmāṃsā, per esempio, sono adottate anche alle altre scuole.
Inoltre, nell'India classica come in quella contemporanea la formazione dello studioso prevede la frequentazione di quasi tutti i sistemi, oltre a discipline ancora più transscolastiche, come la grammatica e la retorica. Un Naiyāyika, perciò, non è mai un Naiyāyika puro, che conosca solo il punto di vista della propria scuola. Egli avrà senz'altro studiato grammatica e metrica,ma anche Vaiśeṣika e Mīmāṃsā, e lo stesso vale per gli aderenti alle altre scuole.
In un certo senso, quindi, le “scuole” intese come organismi chiusi, non esistono. Esse sono, nelle parole di Daya Krishna, un “mito della storia della filosofia indiana”. Ma questo non toglie che, una volta capito che si tratta di correnti di opinione non mutualmente esclusive, il loro studio sia essenziale per enucleare le dinamiche interne alla filosofia indiana. In quel che segue, continuerò perciò a parlare di “scuole”, chiedendo agli ascoltatori di tenere a mente le premesse cautelative ora enunciate.
Infine, è necassaria anche una precisazione storica. Si è infatti spesso osservato come gli autori indiani tendano a privilegiare rappresentazioni orizzontali, astoriche degli argomenti che trattano e la stilizzazione delle “scuole” non fa eccezione.
Il panorama filosofico indiano non è stato infatti sempre e comunque dominato da queste stesse scuole. Anzi, Sāṅkhya e Vaiśeṣika, che secondo le ricostruzioni di Erich Frauwallner sono state le prime scuole filosofiche ad affermarsi come tali, tendono presto a perdere ogni ruolo autonomo e a essere rappresentate solo da autori poligrafi (e quindi non principalmente sāṅkhya o vaiśeṣika) o a comparire, in opere di avversari, come obiettori stereotipati.
Le scuole appaiono in primo piano in India molto più che in Occidente (dove pure esistono correnti come “Illuminismo”, “Neoaristotelismo”, “Positivismo”, “Filosofia Analitica” etc.), perché l'uso comune (quasi “l'etichetta”) in India prevede che la personalità del singolo pensatore sia messa in secondo piano. Gli autori tendono perciò non a presentare nuovi sistemi (come è generalmente accaduto nella filosofia moderna e contemporanea in Occidente), bensì a inserire le proprie innovazioni o riflessioni all'interno della scuola che si occupa dell'argomento corrispondente. Nella stragrande maggioranza dei casi, tale meccanismo è icasticamente espresso dal genere del commento. Tutti commentano, e ogni scuola progredisce attraverso successivi commenti ai propri testi radice, solitamente composti in aforismi detti sūtra.
Riassumendo, la classificazione in darśana offre alcuni vantaggi, ma va anche presa cum grano salis. Cominciando dai vantaggi, la classificazione in darśana consente di
• sottolineare la prevalenza dell'approccio di scuola rispetto alla personalità dell'autore nella filosofia indiana
• comprendere la letteratura secondaria sulla filosofia indiana, che presuppone tale classificazione
• comprendere le fonti indiane, che pure si autodefiniscono nei termini di tale classificazione.
I rischi sono invece legati al considerare i darśana:
• come sistemi chiusi e poco comunicanti (mentre invece si sviluppano proprio attraverso dialogo e interazioni
• come sistemi esclusivi (mentre lo stesso autore può scrivere testi afferenti a varie scuole e si è sicuramente formato in varie scuole)
• come sistemi astorici (mentre hanno un inizio, un'evoluzione e a volte anche una fine)

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