venerdì 24 ottobre 2008

12.1 Gli animali

Praśastapāda,l'autore del Bhāṣya al Vaiśeṣikasūtra distingue fra
•esseri nati da un grembo
•esseri che non lo sono
Isecondi sono insetti e altri animali minuti, secondo Praśastapāda anche piante,e divinità.
I primi si dividono ulteriormente:
•nati da un uovo
•nati vivi

Un autore legato al momento di fusione fra Nyāya e Vaiśeṣika, Udayana, classifica invece le piante in un terzo gruppo.
I corpi degli animali, sostengono Nyāyasūtra e Vaiśeṣikasūtra,sono composti solo di atomi di terra. Creature divine hanno invece corpi d'acqua, di aria o di fuoco a seconda dei mondi in cui abitano. Del corpo non fanno parte i sensi che, come abbiamo visto nel dettaglio nel caso del Sāṅkhya, sono in India intesi come funzioni e non confusi con le rispettive localizzazioni fisiche. Tali sensi saranno composti di atomi corrispondenti al loro oggetto,per cui l'olfatto,che coglie una qualità propria della terra,è composto di atomi di terra, il gusto di atomi di acqua, il tatto di atomi d'aria, la vista di fuoco
e l'udito di etere.
Traggo infine una classificazione apparentemente “scientifica” degli animali da un testo medievale,il Tantrarahasya del mīmāṃsaka Rāmānujācārya:
Fra gli [oggetti conoscibili], solo la terra dà origine a corpi. Non gli altri elementi grossi,poiché [corpi fatti di altri elementi] non vengono mai percepiti e perché così si vede nella successione [senza inizio] di uomini e donne [i quali hanno corpi di terra] di oggi. Il contrario è semplicemente non esistente. Equesti [corpi fatti di terra] sono di tre tipi: nati da un utero,nati da un uovo,nati dall'umido. (tatra pṛthivy eva śarīrārambhikā. netarāṇi bhūtāni. tadanupalambhāt. idānīntanastrīpumparamparāyāś ca tathā darśanāt. viparītam asad eva. tac ca jarāyujāṇḍajasvedajabhedena
triprakāram eva).

Notiamo influenze naiyāyika (la classificazione del reale sotto l'etichetta di ciò che può essere conosciuto) e vaiśeṣika (la classificazione degli elementi,la genesi dei corpi), adattate però ai caratteri mīmāṃsaka. In generale, infatti, i mīmāṃsaka tendono a un acceso empirismo e a usare la percezione sensibile e il mondo come dato alla nostra esperienza quali parametri per giudicare della validità di una teoria o interpretazione.
Peraltro, la descrizione è solo apparentemente scientifica perché in realtà il criterio di fondo che la orienta è l'avere un corpo. Il “corpo” (śarīra) non è semplicemente un aggregato di atomi, bensì un aggregato che, al contrario di una zolla di terra o un ammasso di fango, ha uno scopo. Etale scopo è l'esperienza. Infatti, sensi, intelletto e possibilità motorie sono orientate al fine che noi possiamo esperire il mondo. Alla luce di tale criterio, non c'è differenza fra uomini, esseri divini e animali. Aggiungo lateralmente che si tratta di un criterio interessante e che si avvicina ad alcune elaborazioni di filosofi morali contemporanei. Rispetto alla distinzione classica per cui gli animali non possono avere gli stessi diritti dell'uomo poiché non sono razionali,ci si chiede infatti se la razionalità debba essere il criterio di fondo e non piuttosto la sensibilità intesa come capacità di percepire (to feel) e soffrire.

Questo spunto mi permette di passare a un altro aspetto dello status degli animali. Come già accennato, secondo l'opinone unanime di scuole “induiste”, buddhiste e giainiste,gli animali fanno parte del ciclo delle rinascite e la loro sorte è quindi paragonabile alla nostra. Si pone però un problema, se sia cioè possibile per gli animali l'emancipazione spirituale. Testi non filosofici “induisti” come il Mahābhārata o la Manusmṛti sembrano presupporre che ciò sia possibile,mentre l'opinione assolutamente prevalente nei testi filosofici è che solo a partire da una reincarnazione umana sia possibile la liberazione. Infatti,la vita umana è l'unica nella quale si realizzano le condizioni per la liberazione (mokṣa), grazie al buon equilibrio fra sofferenza (troppo intensa nelle rinascite animali perché ci si possa dedicare all'emancipazione spirituale) e piacere (troppo presente nelle rinascite divine perché si pensi alla necessità dell'emancipazione). Le scuole filosofiche che riconoscono parti del Mahābhārata o di testi simili come testi rivelati spiegano l'incongruenza dicendo che, seppure in linea di massima sia impossibile per un animale raggiungere la liberazione, tuttavia Dio, nella sua onnipotenza e libertà, può rendere chiunque oggetto della propria Grazia salvifica.
Una corrente tarda del Buddhismo Mahāyāna,però,detta “tathāgatagarbha”, sostiene che la natura di Buddha sia presente in nuce in ognuno, anche perciò negli animali e –pare– anche nelle piante (e in rocce e altre sostanze inanimate, secondo alcuni maestri cinesi e giapponesi)(cf. (3)).

1 commento:

Anonimo ha detto...

Conosci quella BELLISSIMA storia di Vyasa ed il verme nell'Anushasanaparva?