venerdì 24 ottobre 2008

10 Evoluzioni di tali concezioni di base: conseguenze nel tantrismo

Come evidenziato nel testo di Raffaele Torella, il Sāṅkhya ha esercitato una larga influenza nella cultura indiana, non tanto sulle altre scuole filosofiche “ortodosse” quanto sull'epica,lo Yoga, l'Ayurveda e sulle correnti così dette tantriche. Come spesso accade nel caso dell'India, anche nel caso di “tantrismo” abbiamo a che fare con un termine di difficile valutazione e certamente non univoco. Diciamo che al giorno d'oggi il termine viene usato in Occidente per pratiche e idee che hanno poco a che fare con i loro ascendenti indiani. Può essere interessante rintracciare le linee genetiche di tali idee,ma senz'altro esse non possono essere legittimamente prestate al mondo culturale indiano. Nell'India contemporanea, d'altronde, il termine tantrika ha assunto una connotazione negativa e indica per lo più praticanti di magia. In quanto segue, invece, mi riferisco a correnti impostasi a partire dalla metà del primo millennio della nostra era in ambiente buddhista e no e che enfatizzano il ruolo del rituale (proponendo però nuovi rituali, diversi da quelli vedici) e della devozione a un essere superiore dispensatore di grazia (Buddha e soprattutto i Bodhisattva da una parte,Śiva,Śakti o anche Viṣṇu dall'altra),che riconoscono una rivelazione ulteriore dopo quella vedica e che utilizzano una serie di pratiche a partire dall'iniziazione,al potere di alcune formule e grafemi (mantra, maṇḍala) e suoni in genere. Apartire da tali pratiche di ambito religioso si sviluppano anche scuole filosofiche che spesso prendono spunto dalle suddette pratiche per esplorarne possibili aspetti e significati. Così,l'attenzione per il potere di alcune formule linguistiche è all'origine della speculazione sul linguaggio di Utpaladeva (x secolo) e le pratiche sovversive di alcuni gruppi di aderenti sono ripensate e internalizzate in Abhinavagupta (xi secolo).
Tornando al legame con il Sāṅkhya, deriva da questo, forse attraverso il tramite dello Yoga, l'idea che il nostro aspetto naturale (nel senso di derivato da prakṛti,la quale è alla base anche di intelletto e senso dell'io) sia al contempo un legame e una risorsa. Èun legame in quanto ci separa dal riconoscerci come parte di Dio (al contrario del Sāṅkhya, le scuole tantriche sono generalmente teiste, come accennato), ma è anche una risorsa perché l'intervento su prakṛti ci permette di “coglierla in fallo” e liberarci dalla sua malia. Gli Śivasūtra di Vasugupta (forse ix secolo) spiegano perciò vari espedienti per sbirciare fra le giunture del continuum di prakṛti,coglierla in atto e passare così da parte di questa a suoi testimoni (sākṣin). Atale scopo le scuole tantriche usano spesso invece di una via di rinuncia progressiva all'azione e quindi a prakṛti in quanto azione, una via di intensificazione. Gettarsi in pieno in prakṛti, sperano, porta più rapidamente a scoprirla. Donde riti “enrgetici”.
Anche le divinità venerate hanno subito un'influenza Sāṅkhya. Gli adepti di scuole tantriche venerano infatti un Dio supremo, generalmente chiamato Śiva (Benefico) o Īśvara (Signore) che corrisponde alla pura coscienza (puruṣa) del Sāṅkhya. Come nel Sāṅkhya,viene generalmente ammessa una pluralità di coscienze individuali, anche se, come nell'Advaita Vedānta, così nelle scuole tantriche più estremiste Śiva è l'unica coscienza. Le nostre varie soggettività distinte non sono che illusorie,mentre in quanto esseri coscienti noi siamo già Śiva. Abhinavagupta parla perciò di rivelazione come riconoscimento (pratyabhijñā) della sostanziale identità fra anima individuale e Dio.
Resta però il problema dell'inattività dello spirito secondo il Sāṅkhya. Le scuole tantriche elaborano quest'aspetto in modi diversi. Le scuole più estreme oppongono a uno Śiva cosciente, ma affatto inattivo, la sua controparte femminile, o Śakti (Potenza, Energia). Questa sola è attiva e in grado di attivare Śiva, il quale, senza di lei, non è che śava (cadavere). Donde numerose raffigurazioni, tuttora visibili in India, in cui Śakti balla sul corpo inattivo di Śiva. Tali scuole, ovviamente, venerano Śakti anche al di sopra di Śiva stesso. Le scuole meno estreme, invece, come la succitata scuola del riconoscimento,dicono che l'attività è una qualità (guṇa) di Śiva, e che quindi non ha esistenza autonoma dal suo possessore (guṇin). In ogni caso,il radicale dualismo del Sāṅkhya è interrotto.
Viceversa, il Buddhismo tantrico distingue altrimenti fra una componente maschile attiva (identificata con l'upāya,il mezzo salvifico,ossia karuṇā,la compassione) e una componente femminile quieta (identificata con la conoscenza, prajñā). Aparti invertite, resta nell'iconografia come nel rituale e nei testi, lo stesso tipo di dualità e complementarietà.

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