mercoledì 22 ottobre 2008

6.8 L'attività psichica come prakṛti e sue conseguenze. Yoga

La scuola dello Yoga come espressa nello Yogasūtra di Patañjali e nello Yogabhāṣya deriva la stragrande maggioranza dei propri fondamenti dal Sāṅkhya come espresso nelle SK. Esso mira perciò a disciplinare al nostro interno prakṛti, nei suoi aspetti fisico e psicologico allo scopo di realizzare la separazione fra prakṛti e coscienza. Di conseguenza, al contrario di uno degli assunti comuni nell'Occidente contemporaneo, ci troviamo di fronte a una sostanziale diffidenza nei confronti dell'attività psichica, specie nel suo aspetto generativo. La proliferazione mentale (di cui fa parte l'immaginazione, che abbiamo imparato a celebrare soprattutto dal Romanticismo in poi) è pensata come un'attività automatica di prakṛti, incosciente e quindi da frenare per potersi dedicare alle attività psichiche superiori (il discernimento tipico dell'intelletto) o, meglio, per poter creare la quite necessaria a che il puruṣa, il “testimone”, veda la natura e scopra così di esserne libero. La stessa idea ricorre in gran parte delle pratiche meditative del Buddhismo antico.

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