venerdì 24 ottobre 2008

8.3.1 Il problema dell'esistenza degli aggregati

Gli aggregati impermanenti che sono oggetti della nostra esperienza ordinaria sono detti avayavin (interi) poiché consistono di avayava (parti). Tali parti sono generalmente composte di un singolo elemento (per esempio, una zolla di terra sarà fatta di atomi di terra), ma è possibile che vi si mescolino ulteriori elementi (come un cucchiaio di terra sciolto in un ampolla d'acqua). Tali interi sono per i Vaiśeṣika realmente esistenti al di là e al di sopra delle parti che li compongono e che ne sono la causa. Esempi standard di ciò sono il vaso o il tessuto. I vasai indiani producevano prima due metà vaso e poi le riunivano. Dicono i Vaiśeṣika che le due parti del vaso sono la causa del vaso intero e che il vaso intero inerisce in ciascuna delle parti. Similmente,un tessuto finito inerisce in ciascuno dei fili che lo compone e che ne è la causa. Un pubblico poco avvezzo alle categorie Vaiśeṣika potrebbe obiettare che il vaso intero non può inerire in una sua parte (dato che questa ne costituisce,appunto,solo una parte),ma la relazione di inerenza è definita proprio come la relazione fra due entità che pur essendo distinte esistano simultaneamente e in effetti il tutto, pur essendo distinto dalle sue parti non può esistere indipendentemente da queste. In proposito, può essere opportuno ricordare che l'inerenza è una relazione asimmetrica, al contrario del contatto o dell'identità. L'effetto (il vaso intero) inerisce nella causa (le due metà del vaso), ma non viceversa. Pertanto, il vaso e il tessuto sono una sostanza a sé, con proprie qualità (per esempio un determinato colore) e relazioni e diversa dalla somma delle sue componenti. Tale sostanza finale non è né atomica né onnipervadente, ma mediana. Mentre atomi e sostanze onnipervadenti sono eterni, le sostanze mediane, create dall'aggregazione di atomi, sono periture, poiché l'aggregazione di atomi può distruggersi. Gli atomi si riuniranno poi in nuove aggregazioni e non saranno di per sé mai distrutti.
È facile però immaginare come l'affermazione dell'esistenza di un tutto al di sopra delle parti sia contestata dai Buddhisti, per i quali un aggregato non esiste come qualcosa di nuovo rispetto alle parti che lo compongono, così come un bosco non esiste a prescindere dagli alberi che lo compongono. I Vaiśeṣika si oppongono a tale reductio ad absurdum logica sostenendo che, di fatto, il mondo è composto da aggregati ben distinguibili dagli atomi che li compongono, ma si trova ad affrontare obiezioni come le seguenti (per cui si veda (2): 75-9), a opera soprattutto del campione della scuola epistemologica buddhista, Dharmakīrti:
•Se il tutto è diverso dalla somma delle sue parti, perché pesa esattamente quanto la somma delle parti?
•Se il tutto non è un agglomerato di parti, com'è possibile che un unico oggetto, per esempio un panno, sia in parte rosso, in parte azzurro, in parte giallo? Il colore “rosso” inerisce all'oggetto “panno” oppure no?
La posizione media nell'Occidente contemporaneo sembrerebbe a prima vista più simile a quella buddhista che a quella vaiśeṣika e ci si potrebbe chiedere perché i Vaiśeṣika si adoprino tanto per difendere una posizione che dà luogo a una serie
di paradossi. Il punto è che la posizione buddhista,d'altra parte, apre immediatamente la strada all'idea che gli aggregati cui la nostra esperienza comunemente si riferisce siano solo costrutti mentali. Ossia, si rischia di giungere all'idea che solo gli atomi siano reali e non gli oggetti da questi composti. Indi, si potrebbe pensare che anche gli atomi siano, similmente, costrutti mentali e che quindi in ultima analisi l'intero mondo esterno non sia che un prodotto mentale (si pensi alla celebre affermazione di Russell: “Il realismo diretto porta alla fisica,la quale mostra che il realismo diretto non funziona. Quindi, il realismo diretto è falso.”).
Il realismo vaiśeṣika non potrebbe tollerare nessuno di questi passaggi ciascuno dei quali si è poi effettivamente realizzato nella storia del Buddhismo.
La posizione Vaiśeṣika si oppone però anche a quella del Sāṅkhya. Si ricorderà infatti che secondo il Sāṅkhya tutto il mondo materiale è un'evoluzone di prakṛti. Quindi,in senso stretto,nulla di nuovo viene creato. L'effetto è già totalmente presente, seppur in potenza,nella sua causa e prakṛti contiene,in nuce,la possibilità di dar luogo all'intero mondo. Invece, secondo il Vaiśeṣika, l'unione di più atomi dà luogo a qualcosa di assolutamente nuovo,che non preesisteva nelle sue cause. L'autore del Nyāyasūtra (ho già spiegato come il Nyāya tenda ad assorbire il Vaiśeṣika per riempire la casella corrispondente a quello che definisce “oggetto conoscibile”) spiega infatti che l'esistenza di aggregati distinti dalle loro parti è inferibile per il fatto che possiamo tirare a noi un vaso o un tessuto senza che se ne stacchino le parti. Quest'ultimo punto apre un tema critico nell'ontologia Vaiśeṣika: come distinguere fra un oggetto che sia un tutto unico al di sopra delle parti e un semplice accostamento di oggetti diversi? Perché le due metà formano un vaso mentre un vaso e l'acqua al suo interno non formano un nuovo oggetto distinto (su questo punto,si veda (2): 78-9)?
I singoli atomi sono increati ed eterni. Secondo il Vaiśeṣikasūtra, essi sono troppo piccoli per essere percepiti e devono essere inferiti dai loro effetti,gli oggetti della nostra esperienza quotidiana. Non hanno qualità (le quali ineriscono solo negli oggetti da questi composti) e sono meri particolari. Secondo il Vaiśeṣika, il più piccolo aggregato è composto dalla congiunzione di due atomi (o diade),mentre l'aggregato più piccolo visibile è la particella di polvere (di quelle che possiamo vedere galleggiare nell'aria controluce),composta da tre diadi di atomi. Tali numeri fanno capire che anche l'approccio apparentemente da fisica classica del Vaiśeṣika contiene un che di arbitrario (perché proprio tre diadi? La fisica contemporanea ha in effetti mostrato che gli atomi sono ben più piccoli di così). L'aspetto più interessante, però, per mostrare la diversità di paradigmi fra Europa e India, sta proprio nel fatto che le critiche rivolte ai Vaiśeṣika non si situino su questo piano, bensì, al contrario, vertano sull'insostenibilità LOGICA di tale approccio. Dice per esempio il buddhista Vasubandhu (circa Vsecolo d.C.) che se gli atomi hanno estensione, allora non sono le particelle ultime (poiché è sempre possibile immaginare di dividerli ulteriormente). Se invece non hanno estensione, allora non dovrebbe avere estensione nemmeno una diade di atomi e così via. Perché sommando particelle senza estensione non si arriva mai a un corpo esteso! La risposta Vaiśeṣika è empirica;per evitare un regressus ad infinitum è necessario postulare delle particelle ultime. Per inciso, tale paradosso è risolvibile nella matematica moderna mediante l'idea newtoniana degli infinitesimi, mentre l'ambiguità della natura dell'atomo (è o non è materia?) più che essere risolta è stata ipostatizzata dalla fisica successiva a Einstein.

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