venerdì 24 ottobre 2008

12.2 Lo status delle piante

Le filosofie e visioni del mondo più antiche in India concordano nel ritenere le piante esseri senzienti, compartecipi del nostro stesso tipo di destino. Anzi, in molti casi il confine del vivente è più amplio di quanto non riterremmo comunemente oggi. Vi sono inclusi anche i frutti, i semi (nel Vinayapiṭaka, una raccolta di testi del Buddhismo antico) e gli elementi (acqua e fuoco nel mondo vedico e nel Giainismo, pietre nella Bhagavadgītā). Questo può far sorridere un uditore odierno,ma probabilmente non farebbe sorridere un fisico,che sarebbe d'accordo nel ritenere l'acqua abitata da innumerevoli corpuscoli invisibili e non classificabili come “animali”. Nei testi si trovano perciò accenni alla possibilità di una reincarnazione come pianta o pietra.
Sul piano filosofico, solo nel Giainismo tali idee trovano una prosecuzione e una strutturazione. Il fondamento dell'etica giainista è infatti la nonviolenza (ahiṃsā), giacché è tramite la violenza (in pensieri, parole o atti) che viene prodotta la maggior quantità di karma (e l'aderenza del karma all'anima impedisce la liberazione). La nonviolenza include anche il non far commettere ad altri atti violenti e non approvarli in alcun modo e si rivolge egualmente a esseri umani, animali,piante,fino alle forme di vita più sottili e invisibili presenti nell'acqua o nel fuoco. Le piante in particolare sono dette viventi e senzienti, ma dotate del solo senso del tatto.
Una concezione simile sembra essere presupposta dalla proibizione, presente in un testo canonico del Buddhismo antico, di distruggere piante e semi. Le storie che accompagnano tale proibizione evidenziano anche come ritenere le piante esseri viventi fosse sentimento comune nella società dell'epoca (e, quindi, un monaco dovrebbe evitare di distruggere piante anche per rispetto nei confronti di tale sentimento comune).
Il raffinamento delle idee filosofiche opera però un progressivo distacco da tale opinione antica, in quanto la vita e la senzienza vengono sempre più identificate con facoltà superiori, considerate patrimonio esclusivo di uomini, esseri
divini e animali. Rimane l'idea che le piante debbano essere rispettate, ma non per se stesse,bensì in quanto abitate da insetti o altri esseri viventi.
Fuori dall'ambito buddhista,cito un esempio tratto da un testo medievale mīmāṃsaka, il Tantrarahasya di Rāmānujācārya. Come immaginabile, la discussione sulle piante si colloca all'interno di una discussione degli oggetti conoscibili (prameya), e in particolare delle sostanze (dravya). L'autore,che condivide l'atomismo Vaiśeṣika, in epoca medievale patrimonio comune di quasi tutte le scuole, si chiede di quali atomi siano composti i corpi. Dopo aver concluso (si veda la citazione nel paragrafo precedente) che essi sono composti di atomi di terra, aggiunge:
Quel che nasce da un germoglio/dall'acqua, ossia gli alberi e [le altre piante], non ha un corpo, poiché non ha fruizione (bhoga). Infatti, essere supporto della [fruizione] è lo scopo del [corpo]. E le affermazioni
Nel cimitero nasce un albero,accompagnato da corvi e avvoltoi (āgama ignoto).
L'uomo diviene pianta a causa dei difetti nel karman originati dal corpo (Manusmṛti 12,9).
non hanno indipendente [valore epistemico] poiché dipendono da quella prescrizione (che precede o segue nel testo), come nel caso di “l'animale sacrificale è il sacrificatore”, “il palo sacrificale è il sole”. Poiché contraddicono i mezzi di valida conoscenza.
(udbhijjaṃ tu vṛkṣādikaṃ na śarīram. bhogānupalambhāt. tadāyatanaṃ hi tatprayojakam. yad
api – śmaśāne jāyate vṛkṣaḥ kaṅkagṛdhropasevitaḥ || (āgama?)śarīrajaiḥ karmadoṣair yāti sthāvaratāṃ naraḥ || (manu. smṛ. 12.9). iti vacanaṃ tadvidhiparatantratayā na svatantram. yajamānaḥ paśuḥ (prastaraḥ) ādityo yūpaḥ itivat. pramāṇavirodhāt).
Come già accennato, śarīra indica i corpi in quanto viventi. Ai nostri fini è interessante che Rāmānujācārya debba imporre la propria idea contrastando una serie di citazioni,provenienti da testi non filosofici,quali la Manusmṛti e che puntano nella direzione opposta, provando cioè la senzienza delle piante (che sono equiparate a esseri viventi, per cui si dice dell'albero che “è nato”, jāyate) e la loro partecipazione al ciclo delle rinascite. Troviamo perciò anche al di fuori dell'ambito buddhista la stessa opposizione fra un'opinione prevalente favorevole alla senzienza delle piante e un'opinione (filosoficamente più raffinata?) che tale senzienza nega (si veda in merito l'illuminante (4)). La senzienza delle piante e la loro partecipazione al ciclo delle rinascite è quindi, prevedibilmente, ammessa dalle scuole viṣṇuite che considerano il Bhāgavatapurāṇa (un testo che testimonia dell'opinione comune anzidetta) un testo rivelato, ossia la scuola di Madhva, quella di Rāmāṇuja e quella di Caitanya.
È interessante infine notare come non sembra essere presa in considerazione la possibilità intermedia (spesso comunemente accettata in Occidente) che esistano esseri viventi,ma non senzienti (quali, appunto,i vegetali).

1 commento:

Anonimo ha detto...

Affascinante. L'elemento della visione indiana che mi e' sempre parso il piu' bello ed UMANO e' senza dubbio questa larghezza delle sue definizioni della vita e la conoscenza.